Non è vero che non siamo stati felici

"Non è vero che non siamo stati felici" di Irene Salvatori, è un libro che descrive perfettamente qui momenti della vita (che spesso durano anni, spesso non passano mai), in cui la tua mente incastrata ed abbracciata al tuo corpo (dipende dal momento, appunto, che stai vivendo) produce mille pensieri che corrono veloci, poi si fermano di colpo, poi si calmano, poi non hanno controllo, poi rotolano via e tu non riesci a stargli dietro, altri in cui pensi "però, adesso vi seguo, anzi, adesso vi penso IO".

Questo libro è di tutti e di nessuno,  è di chi ha il coraggio di ammettere che nella vita, spesso, ci capita di vivere le stesse sensazioni, le stesse paure, scaturite dalla medesima situazione o da altre. Io non ho bisogno del coraggio nel dire che in questo libro ho sentito Me in molte parti.
Un libro che ti travolge e avvolge. Un libro bellissimo.

Heimat, dicono i tedeschi, è il posto da cui si proviene e a cui si apparterrà per sempre. 
È quello il luogo che, viaggiando di stato in stato e di lingua in lingua, la piccola comunità di questo romanzo ha messo come nord alla sua bussola. Per poi rendersi conto, banalmente, che non è la geografia a dare la risposta. Heimat è la mamma: non c’è altra provenienza originaria, e dunque non c’è altra possibile destinazione.
Non è vero che non siamo stati felici è una lunga lettera − disperata, folle, sorprendente, magica − a una madre mai morta. Perché, si potrebbe dire, una mamma non muore mai: non è certo il destino, con i suoi scherzi puerili, a farci diventare orfani.



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